Come hanno trascinato l’ex scapolo più fascinoso di Hollywood in un filmone Disney pieno di strani robot? Perché in Tomorrowland c’è il messaggio che piace a lui: «Per quanto il futuro ci sembri cupo, cambiarlo è sempre possibile». Parola di un ottimista cronico, che del presente ama tutto: a patto che al suo fianco ci sia Amal. «Non riesco a stare lontano da lei per più di una settimana»
La saggezza popolare ha sempre un fondo di verità: come il buon vino, George Clooney migliora con l’età. Arrivato a quota 54, compiuti il 6 maggio, l’ex scapolo più ambito di Hollywood ne dimostra dieci di meno, mentre il suo fascino cresce con il tempo. Saranno gli effetti benefici del matrimonio con la bellissima e impegnatissima Amal Ramzi Alamuddin, avvocato libanese che il 29 settembre scorso l’ha finalmente impalmato. Se l’evento in quel di Venezia è stato memorabile, la favola pare procedere a gonfie vele, nonostante le fittissime agende di entrambi. «Ma abbiamo deciso che non dobbiamo mai stare separati più di una settimana di seguito», ci ha spiegato l’attore quando l’abbiamo incontrato a Londra per parlare di Tomorrowland – Il mondo di domani, il nuovo film ambientato in uno spazio-tempo imprecisato, in un passato prossimo che immagina un futuro remoto, diretto da Brad Bird, già genio Disney, poi passato alla Pixar e regista di film d’animazione come Gli incredibili e Ratatouille, e interpretato, oltre che da Clooney, dalla stella in ascesa Britt Robertson. «Cerchiamo di incastrare i nostri impegni in modo che vadano bene a entrambi», continua George, sognante. «Da quando l’ho incontrata, passare tutto il tempo che posso con lei è la cosa più importante».
Il fantascientifico Tomorrowland consegna un messaggio importante ai ragazzi: siate gli artefici del vostro futuro.
Sono d’accordo, e questo film mi ha riportato alla mia giovinezza. Sono cresciuto in un momento storico in cui pensavamo che la voce della gente normale, non solo quella dei politici, potesse cambiare il mondo. Purtroppo con il passare del tempo abbiamo perso di vista questo aspetto. La morale di Tomorrowland è che per quanto il futuro possa sembrarci cupo, quello che abbiamo davanti non è un processo irreversibile.
Tutto dipende da noi, insomma?
E anche dalla nostra prospettiva sulle cose. Quando guardavamo il telegiornale, mio padre mi diceva sempre: «L’aggressione di sette skinhead qui a Cincinnati è una notizia. Ma se vai fino in cima alla torre delle notizie, ti accorgi che sono solo un puntino in mezzo a Fountain Square».
Lei è sempre stato un ottimista.
Qualcosa di positivo deve venire fuori. Sono stato spesso in Africa e so bene che tutti gli aiuti che mandiamo in quelle zone servono a poco, nell’immediato. Prima che la situazione possa migliorare probabilmente sarò morto, ma fa parte del gioco, non smetto di impegnarmi. E film come Tomorrowland mi dicono che posso continuare a sperare.
Ne sembra decisamente soddisfatto.
Anche perché volevo lavorare con Brad Bird e lo sceneggiatore Damon Lindeloff da tempo. Avevamo già provato a costruire un progetto insieme, ma non era andato in porto. Quando mi hanno mandato la sceneggiatura e ho letto la descrizione del mio personaggio, «55 anni, scorbutico, un tempo piacente», li ho chiamati e gli ho chiesto: «Ehi, allora è così che mi vedete?».
Tomorrowland è anche un film molto impegnativo dal punto di vista fisico. Si è preparato a lungo?
Alcuni minuti di allenamento, lo stretto necessario per poter fare a pugni con un altro vecchio medico della tv (Hugh Laurie, il dottor Gregory House, ndr).
Nel film c’è anche una versione di lei bambino, interpretata dal piccolo Pierce Gagnon. Ci si è riconosciuto?
È stato grande. Non ho lavorato con lui, ma mi è piaciuto vedere che interpretazione di me ha dato. A dire il vero alla sua età ero biondo, stranamente, e adesso lo sto tornando…
Se le chiedessi come possiamo migliorare il nostro futuro, cosa le viene in mente?
Non saprei. Da ragazzo pensavo che avrei viaggiato su automobili volanti. Per contro, non immaginavo che avremmo avuto gli smartphone, quindi è vero che il futuro riserva molte sorprese. La tecnologia aiuta, ma sarebbe bello se riuscissimo ad allontanarcene un po’: ero a una cena di beneficenza alla Casa Bianca, tempo fa, e ho visto molti fotografare il presidente Obama mentre gli stringevano la mano. Non possono dire di averlo incontrato, ma certamente lo hanno filmato. Lo stesso vale per la nostra vita: la stiamo registrando, forse per vederla in differita. Ma la diretta continua a sembrarmi molto più interessante.
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